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PARCO DELLA STATUALITÀ

Il XX secolo – il secolo della statualità slovena

1918

«Popolo, rallegrati,
i Slavi si leveranno!»

Dal discorso del dottor Karel Verstovšek al raduno dichiarativo di Družmirje, 30 maggio 1918

Il dottor Karel Verstovšek (1871–1923), politico e filologo sloveno, originario di Velenje e uno dei più riconoscibili politici sloveni del periodo di transizione. Come commissario per l’istruzione e il culto, fu membro del primo governo nazionale sloveno nello Stato degli Sloveni, Croati e Serbi. In qualità di presidente del Consiglio nazionale per la Stiria, influenzò l’andamento degli eventi nelle battaglie per il confine settentrionale della Slovenia grazie al suo fermo sostegno e alla promozione di Rudolf Maister al grado di generale.

Nel turbolento e sanguinoso XX secolo, che cancellò completamente il vecchio mondo in due grandi guerre e pose le fondamenta del mondo moderno in cui viviamo, la nazione slovena compì gli ultimi tre grandi passi del suo lungo cammino – durato quasi due millenni e mezzo – di trasformazione da comunità etnica a nazione. Questo cammino iniziò con l’arrivo degli antenati slavi degli sloveni nel VI secolo al punto d’incontro tra il mondo alpino, pannonico e costiero, dove, sulle rovine del mondo antico, cercarono di creare la loro prima formazione statale attraverso i principati tribali slavi, ancora in parte avvolti nel mistero, di Carantania e Carniola. Nonostante la rapida perdita d’indipendenza all’esposto crocevia dei mondi germanico, romanico e slavo, i manoscritti di Frisinga sancirono già nel X secolo l’esistenza degli sloveni come nazione. Cinque secoli più tardi, il padre della letteratura slovena, Primož Trubar, nel suo famoso appello «Lubi Slouenci» («Cari sloveni»), esortò alla consapevolezza dell’unità dello spazio culturale e linguistico sloveno.

Ci vollero altri tre secoli perché l’appello di Trubar trovasse compimento nel programma politico nazionale pan-sloveno Zedinjena Slovenija (Slovenia Unita) e nell’innalzamento della bandiera nazionale slovena durante la Primavera dei Popoli, nel turbolento XIX secolo.

Sebbene nei decenni successivi la coscienza nazionale slovena, e con essa la determinazione a risolvere (finalmente) la questione nazionale slovena, andassero rafforzandosi, l’impulso decisivo giunse con il XX secolo e la grande guerra che esso portò con sé. La guerra, nella quale gli sloveni soffrirono e versarono ancora sangue per un monarca straniero, mise a nudo le fondamenta ormai in rovina della monarchia danubiana e offrì agli sloveni due vie per il futuro. La Dichiarazione di maggio, il movimento dichiarativo a essa collegato e la Dichiarazione di Corfù furono le prime manifestazioni concrete e chiaramente espresse dell’intento del popolo sloveno di determinare il proprio destino. Il tempo e le circostanze esterne decisero infine a favore della seconda dichiarazione.

Nel pieno della Prima guerra mondiale, gli sloveni, basandosi sul principio di autodeterminazione, insieme agli altri popoli slavi meridionali che vivevano nell’Impero austro-ungarico in disfacimento, proclamarono il proprio Stato degli Sloveni, Croati e Serbi il 29 ottobre 1918. Questa fragile e vulnerabile formazione statale, non riconosciuta da alcuna potenza straniera e dai confini incerti, riuscì a sopravvivere solo per 33 giorni. Nella confusione del dopoguerra, durante la ridefinizione dei confini e a causa dell’incomprensione della situazione e della mancanza di considerazione per i “vinti della Grande Guerra” da parte delle potenze vincitrici, il suo territorio si ridusse rapidamente, proprio nelle zone abitate da sloveni. L’Accordo di Londra a ovest e la pressione tedesca a nord – fermata solo grazie all’azione militare decisiva del generale Rudolf Maister e dei suoi volontari, i combattenti per il confine settentrionale – spinsero il neonato stato in una posizione sempre più difficile e lo costrinsero ad agire rapidamente.

Già il 1º dicembre 1918, lo Stato si unì al Regno di Serbia, a cui pochi giorni prima si era aggiunto anche l’ex Regno del Montenegro, formando il nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Il fatto che entrambi i regni si trovassero sul lato vincente della guerra migliorò notevolmente la posizione giuridica internazionale del nuovo paese e, con essa, quella degli sloveni. Tuttavia, negli anni successivi seguirono grandi delusioni: il Trattato di Rapallo, il Plebiscito della Carinzia del 1920 e la Costituzione di Vidovdan del 1921 portarono alla dolorosa perdita di circa un terzo del territorio etnico sloveno. Solo in parte questo fu compensato dal ritorno e dalla riunificazione degli sloveni del Prekmurje con la loro madrepatria nel 1919.

Neppure per gli sloveni rimasti entro i confini del nuovo regno ci fu una soluzione definitiva alla questione nazionale. La prima costituzione espresse chiaramente le tendenze centraliste e unitarie della dinastia serba, orientate fin dall’inizio alla fusione graduale dei popoli slavi del sud in una sola nazione. La dittatura del 6 gennaio di re Alessandro I Karađorđević, il cambio di nome del paese in Regno di Jugoslavia e la nuova costituzione sancirono formalmente gli sloveni come uno dei tre “tribù” costituenti un’unica nazione jugoslava.

Uno dei francobolli della serie «verigarji», con il motivo di uno schiavo che spezza le catene, opera del pittore sloveno Ivan Vavpotič, simboleggia la liberazione nazionale slovena dal millenario dominio degli oppressori stranieri. I francobolli «verigarji» furono i primi francobolli sloveni o, più precisamente, jugoslavi. Ne furono stampati circa 180 milioni di esemplari, ma non furono mai messi in vendita nello Stato degli Sloveni, Croati e Serbi, poiché entrarono in circolazione solo all’inizio del 1919, cioè nel Regno degli SCS. Rimasero in uso fino al 1921.

(Fotografia di autore sconosciuto, Collezione Current Materials (1019), conservata presso il Museo Nazionale di Storia Contemporanea della Slovenia)

1945

«Siamo solo un milione,
un milione che muore tra i morti,
un milione senza sangue,
solo un milione,
un milione di anime sofferenti,
ma un milione mai sconfitto!
Non ora e mai!»

(Karel Destovnik-Kajuh, Slovenska pesem)

Karel Destovnik – Kajuh (1922–1944), il più grande poeta partigiano, originario di Šoštanj, simbolo dello spirito ribelle e indomito della nazione slovena negli anni delle sue prove più dure.

(Fotografia: autore sconosciuto, Collezione di materiali liquidi (1019), conservata presso il Museo di Storia Contemporanea della Slovenia).

La dittatura del re Alessandro I fu solo un tentativo disperato di risolvere la crisi politica del paese, la cui causa principale era l’ineguaglianza tra le nazioni che lo componevano. Lo scioglimento del parlamento, il cambio di nome dello stato e la nuova divisione amministrativa del territorio in regioni che non rispettavano i confini nazionali e storici, soffocarono solo temporaneamente e superficialmente le questioni nazionali, tra le quali quelle croata e slovena erano particolarmente pressanti. La morte improvvisa del re, conseguenza di un attentato organizzato dall’emigrazione ustascia macedone e croata attiva in Italia, aggravò ulteriormente la crisi nel paese e accese nuove tensioni nazionali. Dall’esterno, il paese era sempre più minacciato dal fascismo e dal nazismo che si diffondevano in tutta Europa. Per consolidare lo stato dall’interno, i serbi raggiunsero un accordo con i croati e nel 1939 istituirono la Banovina di Croazia, alla quale fu concessa un’ampia autonomia legislativa, mentre gli sloveni continuarono a vivere come un semplice “gruppo etnico” nella Banovina della Drava, completamente subordinata al governo unitario di Belgrado.

L’insostenibile situazione politica del paese fu nuovamente interrotta dalla guerra, come un quarto di secolo prima. Il 6 aprile 1941, la Seconda guerra mondiale, che ormai aveva travolto la maggior parte dell’Europa, trascinò nel suo vortice il Regno di Jugoslavia e, con esso, gli sloveni. Internamente, un paese completamente instabile e disunito crollò dopo soli undici giorni nella cosiddetta guerra d’aprile. Alla breve guerra seguirono l’occupazione e lo smembramento dello stato, che nella Banovina della Drava, cioè nel territorio etnico sloveno, furono condotti nel modo più completo e brutale. La maggior parte degli sloveni vide l’occupazione come il ritorno dei recenti “antichi padroni e oppressori”, il che risvegliò in molti il desiderio di opporsi attivamente alle forze occupanti.

L’indecisione dei precedenti leader politici fu sfruttata dal Partito Comunista di Slovenia, allora ancora piccolo e politicamente insignificante, che, a causa della sua natura rivoluzionaria, era stato bandito e operava clandestinamente dal 1921. Insieme ad alcuni gruppi e individui affini, il partito fondò, nella notte del 27 aprile 1941, il Fronte di Liberazione della Nazione Slovena (OF), chiamando tutti gli sloveni, indipendentemente da età, sesso, appartenenza politica o visione del mondo, a uniti e armati contro gli occupanti. Nell’estate dello stesso anno furono formate le prime unità partigiane slovene. Fino alla fine della guerra, esse rappresentarono il nucleo della resistenza armata attiva, mentre molti uomini e donne sloveni parteciparono fin dall’inizio anche a varie forme di resistenza passiva.

Il partito comunista, che già prima della guerra aveva maturato una grande esperienza di attività clandestine, guadagnò rapidamente prestigio e sostenitori tra gli sloveni nei mesi e negli anni successivi e assunse gradualmente il pieno controllo dell’OF e della lotta di liberazione nazionale. Ciò fu infine confermato dalla Dichiarazione delle Dolomiti, che indicò, almeno indirettamente, anche il futuro sviluppo politico e statale della Slovenia. Tale evoluzione aggravò la frattura tra le due correnti politiche, che presto divennero inconciliabili e si trasformarono infine in una tragica guerra civile, nel contesto di un’occupazione straniera che rappresentava un pericolo mortale per la nazione slovena.

Grazie alla sua fermezza, determinazione e coraggio, il significato e il simbolismo del Fronte di Liberazione tra gli sloveni continuarono a crescere. L’OF assunse presto la posizione di unica forza politica e militare legittima della nazione slovena, riconosciuta indirettamente, come parte del movimento di resistenza jugoslavo, anche dagli Alleati occidentali durante la Conferenza di Teheran del dicembre 1943.

Sebbene l’OF sloveno fosse in molti aspetti autonomo durante tutti gli anni di guerra, e quindi in parte diverso dai movimenti di liberazione delle altre nazioni jugoslave, rimase strettamente legato alla direzione centrale del movimento di liberazione, mantenendo però il proprio carattere nazionale e statale unico.

La rottura definitiva con la visione unitaria della Jugoslavia monarchica prebellica avvenne con l’Assemblea di Kočevje, tenutasi all’inizio di ottobre 1943, quando i delegati della nazione slovena decisero, insieme ai rappresentanti croati, di istituire un’organizzazione federale della Jugoslavia basata sul diritto all’autodeterminazione e sull’adesione volontaria delle ex nazioni jugoslave a uno stato postbellico.

Ciò avvenne durante la seconda sessione del Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale della Jugoslavia (AVNOJ), il più alto organo politico del movimento di resistenza jugoslavo. Sulla base delle risoluzioni approvate in quell’occasione, il comitato sloveno eletto a Kočevje si riunì nuovamente nel febbraio 1944 a Črnomelj, ribattezzandosi Comitato Sloveno di Liberazione Nazionale, che fino alla fine della guerra funzionò come il primo parlamento sloveno, con la sua presidenza quale embrione di un governo.

Formalmente, il governo sloveno – il Governo Nazionale della Slovenia, noto anche come Governo di Ajdovščina – fu istituito negli ultimi giorni della guerra, il 5 maggio 1945, ad Ajdovščina. Con ciò, almeno indirettamente, venne proclamato il primo stato nazionale sloveno.

Šoštanj, 9 maggio 1945. Il giorno della vittoria! La stella rossa a cinque punte non rappresentava solo la vittoria, ma portava anche la speranza di un futuro migliore e più giusto.

(Fotografia di Ivo Lipar, Collezione Current Materials (L4/39), conservata presso il Museo Nazionale di Storia Contemporanea della Slovenia)

1991

«Eravamo parte di un momento storico,
in grado di contribuire a determinare il corso del futuro della Slovenia.
All’epoca, la maggior parte degli sloveni era pronta
a sacrificare la propria vita per l’indipendenza.»

Jože Prislan – Ervin, comandante del 89º Quartier Generale Regionale della Difesa Territoriale di Velenje

Jože Prislan – Ervin (1952–2002), comandante del 89º Quartier Generale Regionale della Difesa Territoriale di Velenje e uno dei pilastri e simboli dei processi d’indipendenza e della guerra per la Slovenia nella Valle di Šalek.

Il 9 maggio 1945, a Topolšica vicino a Šoštanj, il colonnello generale tedesco Alexander Löhr, comandante dell’Esercito Tedesco E, depose le armi davanti all’“esercito di banditi”, come i tedeschi chiamavano con disprezzo i partigiani, e firmò la capitolazione incondizionata delle sue unità. Con la resa delle ultime forze occupanti del territorio sloveno, la tanto attesa libertà arrivò finalmente per gli sloveni e per gli altri popoli jugoslavi. Nel maggio del 1945, la nazione che l’invasore aveva cercato di distruggere e cancellare dalla carta politica ed etnica si affermò con orgoglio e sicurezza come una delle nazioni antifasciste che si unirono in una lotta senza compromessi per sconfiggere la più grande minaccia per l’umanità fino ad allora. Come la Seconda guerra mondiale cambiò radicalmente il mondo e ne pose le nuove fondamenta, così la libertà portò nuove traiettorie politiche e sociali alla vita del nuovo Stato.

Dopo la guerra, il Partito Comunista di Jugoslavia mantenne il potere popolare fondato sulle basi poste durante il conflitto. Grazie al prestigio internazionale acquisito durante la guerra e al vasto sostegno delle masse, assunse senza difficoltà il pieno potere politico e ideologico nel nuovo Stato. Questa nuova, seconda Jugoslavia – più comunemente chiamata Jugoslavia di Tito – cambiò il suo nome ufficiale tre volte tra il 1945 e il 1991. Sebbene in tutte e tre le denominazioni fosse sottolineata la struttura federale del paese, la realtà politica e sociale della Jugoslavia del dopoguerra era ben lontana da tale definizione. Fu comunque un periodo in cui gli sloveni ottennero il proprio parlamento (nazionale), i simboli (statali) e la costituzione.

Un passo importante verso la federalizzazione del paese fu l’istituzione, alla fine degli anni Sessanta, della Difesa Territoriale della Repubblica (TO) e l’adozione della Costituzione della RSFJ nel 1974, che garantì formalmente a ogni nazione costituente il diritto all’autodeterminazione, inclusa la secessione. Nonostante ciò, per tutta la sua esistenza la Jugoslavia rimase uno Stato monolitico, estremamente burocratico e monopartitico, che si trasformò solo lentamente e con difficoltà, fino a perdere il contatto con il mondo sviluppato in rapido cambiamento.

Quando Josip Broz – Tito, la più alta autorità morale e il pilastro più importante del paese, morì nel maggio 1980, la comunità eterogenea delle nazioni jugoslave, schiacciata dal peso di una grave crisi economica e dai problemi economici, politici, sociali e nazionali che essa mise in luce, cominciò a disgregarsi. Si formarono due schieramenti. La Repubblica Socialista di Slovenia (presto affiancata dalla Croazia), la più sviluppata e quella più orientata verso l’Occidente, cercava modelli di sviluppo soprattutto nel mondo occidentale avanzato. Economia di mercato, democrazia politica, diritti umani fondamentali e libertà di pensiero erano i principi cardine del fronte filo-occidentale. Dall’altra parte, la Serbia e il Montenegro – insieme alle autorità federali da esse dominate – vedevano la soluzione della crisi in un’ulteriore centralizzazione attorno al partito unico, in un maggiore controllo statale sull’economia e nel rafforzamento del potere federale.

La Slovenia aspirava a una confederazione il più possibile libera, mentre la Serbia mirava a una società e a uno Stato fortemente centralizzati e ideologicamente monolitici. Sebbene il conflitto tra sloveni e serbi all’interno della Jugoslavia non fosse di natura etnica, ma piuttosto una lotta tra due modelli di sviluppo, il divario tra le due parti si approfondì sempre più, rendendo evidente che non sarebbe stato possibile trovare un punto d’intesa.

Nel marzo 1987 fu pubblicato in Slovenia il numero 57 della rivista Nova revija, considerato l’inizio ufficioso dei processi d’indipendenza sloveni. Nel 1988 e nel 1989 nacquero i primi partiti d’opposizione in Slovenia, che riassunsero i propri programmi politici nella Dichiarazione di maggio, mentre anche la Lega dei Comunisti di Slovenia iniziò un processo di riforma interna.

Il 1º dicembre 1989, il tentativo di organizzare una manifestazione serba denominata “Raduno della Verità” fu impedito con successo dalla milizia slovena (polizia) nell’ambito dell’Operazione Sever (“Operazione Nord”), in collaborazione con la Difesa Territoriale e con l’approvazione della leadership politica slovena – segnando il fallimento definitivo dell’ultimo tentativo di disciplinare la repubblica ribelle.

Nell’aprile 1990 si tennero in Slovenia le prime elezioni multipartitiche del dopoguerra, basate sugli emendamenti costituzionali del Parlamento della Repubblica di Slovenia alla Costituzione del 1974. Le elezioni furono vinte dall’opposizione unita DEMOS. Il nuovo governo democraticamente eletto iniziò a realizzare la promessa di un’indipendenza slovena.

Infine, tutte le forze politiche del nuovo parlamento decisero all’unanimità di lasciare che fossero i cittadini stessi a determinare il futuro della Slovenia attraverso un plebiscito, tenutosi il 23 dicembre 1990. Sulla base di un risultato inequivocabile, il Parlamento sloveno adottò il Documento Costituzionale Fondamentale e la Dichiarazione di Indipendenza il 25 giugno 1991, in base ai quali il presidente della repubblica proclamò solennemente un’entità slovena indipendente e sovrana il giorno successivo.

Il 27 giugno – e un giorno prima in Primorska – l’esercito federale uscì dalle caserme e mise finalmente in atto le minacce, più volte ripetute negli anni precedenti, di impedire l’indipendenza slovena con la forza. Iniziò così la guerra per l’indipendenza slovena.

Dopo dieci giorni di aspri combattimenti, durante i quali la nazione slovena dimostrò ancora una volta la propria determinazione, il proprio coraggio e, questa volta, la piena unità, le due parti negoziarono e firmarono l’Accordo di Brioni. La Repubblica di Slovenia divenne pienamente sovrana il 25 ottobre 1991, quando l’ultimo membro dell’esercito federale lasciò il paese attraverso il porto di Capodistria.

Grazie ai numerosi riconoscimenti internazionali che seguirono gli eventi, la Repubblica di Slovenia fu ammessa alle Nazioni Unite (ONU) come 176º membro nel maggio 1992. Con questo, nel turbolento e sanguinoso XX secolo, la nazione slovena compì l’ultimo passo del suo secolare cammino: da una quasi anonima comunità nazionale europea a una nazione pienamente formata e uguale tra le nazioni della comunità internazionale.

L’inaugurazione della bandiera nazionale slovena il 12 giugno 1991 (il nuovo stemma e la bandiera di stato furono inaugurati il 25 giugno), sulla cima del Triglav, simbolo dell’identità slovena, preannunciò i profondi cambiamenti che attendevano la nazione slovena.

(Fotografia di Joco Žnidaršič, Fondo Joco Žnidaršič, conservata presso il Museo Nazionale di Storia Contemporanea della Slovenia)